Negli ultimi anni la Grecia, purtroppo, ha spesso fatto parlare di sé ed è stata causa di profonda agitazione per i partner europei, le istituzioni comunitarie ed i mercati finanziari. Prendendo allora spunto dalla “questione greca” nel contesto UE, vorrei tentare di analizzare in modo un po’ meno superficiale e parziale di quanto comunemente si faccia la “dicotomia” Mediterraneo-Europa.
Non si possono non riconoscere le peculiarità socio-politiche e le croniche difficoltà economiche dell’Europa mediterranea contemporanea: siamo sicuri di conoscerne a fondo le vere ragioni e di poterci conseguentemente adoperare con successo alla riduzione del divario esistente fra i due mondi?
In effetti, molti paesi che si affacciano sull’antico “Mare Nostrum” seguono paradigmi significativamente diversi da quelli del cosiddetto Occidente, di stampo anglosassone (pensiamo ai parametri usuali su cui si misura lo stato di salute e floridezza di un’economia nazionale, ovvero consumi, crescita, pil, livello di occupazione, infrastrutture, ecc.), anche se paradossalmente è proprio in Grecia e Italia che l’Occidente affonda le sue radici, culturali e non solo.
Aree come il Mezzogiorno d’Italia e la Penisola Ellenica (ma anche certe zone costiere di Spagna e Francia oltre che, per ovvi motivi politici, un po’ tutto il resto dei Balcani), non si sono mai europeizzate veramente, e men che meno globalizzate.
Forse accanirsi per un loro “inglobamento” è sbagliato, o almeno non si è ancora lavorato abbastanza, in modo appropriato e convinto, sui presupposti necessari affinché il tentativo non risulti velleitario (come è stato sino ad oggi).
Culture e popolazioni “distanti” (non solo geograficamente) dal fulcro del paneuropeismo vanno invitate a prendere parte attiva nei processi di aggregazione, coinvolgendo con gradualità e pazienza le persone e le organizzazioni, ossia il tessuto socio-economico locale (e non solo gli apparati politici centrali), avendo cura di attivare una sorta di “circolazione culturale” bidirezionale, sia centrifuga che centripeta. A me invece sembra che, in estrema sintesi ed esasperando un po’ il concetto di fondo, da sempre le linee guida del maldestro tentativo di europeizzazione di tali aree periferiche siano quelle basate sullo scellerato ritornello “eccovi dei soldi a fondo perduto, fatene ciò che volete ma ora statevene buoni e seguiteci…”.
Vi sono certamente dei distinguo da fare fra Sud Italia e Grecia, ma in comune qualcosa ce l’hanno, qualcosa che non viene mai adeguatamente sottolineato e talora manco riconosciuto: più di altri territori, limitrofi e non, entrambe nell’evo moderno hanno ripetutamente subito varie forme di prevaricazioni culturali, economiche e politiche, nonché “maltrattamenti fisici” (per usare un eufemismo), alle cui profonde conseguenze su società, modelli comportamentali e mentalità in generale non si è mai voluto prestare davvero la dovuta attenzione.
Siamo nel terzo millennio, e di tempo per adottare i cambiamenti necessari al fine di raggiungere un livello soddisfacente di omogeneità ne è già trascorso abbastanza, per tutti, tanto che non si dovrebbe più poter distinguere fra soggetti attivi e passivi del processo di integrazione europea.
Non voglio quindi giustificare certi atteggiamenti arrendevoli, approfittatori e vittimisti riscontrabili fra le popolazioni di tali aree, ma al contempo bisogna anche riconoscere una volta per tutte e senza mezzi termini che tale processo è stato governato in modo tutt’altro che ottimale, con evidenti squilibri e colpevoli dimenticanze, e che non si sono mai voluti affrontare risolutivamente retaggi e ripercussioni di talune importanti vicende storiche che, almeno in parte, rendono conto della cronica discrasia mediterranea.
In Italia in particolare, ma non solo, ancora oggi sui libri di storia sono scritte molte “false verità”, mentre “altre verità” vengono distorte o semplicemente taciute. Talora, si sono mescolate ad arte le une alle altre… Per quanto imbarazzante e penoso possa risultare il “correggere” tali pagine della storia italiana e mediterranea contemporanea, a mio avviso lo si sarebbe dovuto fare da tempo, ed oggi più che mai è indispensabile farlo se si vogliono davvero ridurre quelle “distanze” di cui si parla da svariati decenni, spesso senza sufficienti cognizione di causa ed onestà intellettuale.